Era un mese fa quando un improbabile furto veniva compiuto, nella
notte, in quel di Milton Keynes. Un'automobile sfondò con foza le
vetrate all'ingresso della sede della Red Bull, team di Formula 1 con
sede nel Regno Unito, e fece sparire, in un colpo solo, gli oltre 60
trofei della scuderia, orgogliosamente esposti in vetrina.
Ha già
fatto il giro di tutta la rete la foto, scattata proprio un paio di
giorni prima, che ritrae Sebastian Vettel in posa davanti alla vetrina
stessa, in occasione dell'ultimo saluto alla squadra prima del passaggio
in Ferrari.
Dai piani alti del team inglese Christian Horner ha
assicurato: i danni sono più morali che economici. I trofei, al di là
del valore simbolico che possono avere per il pilota e per la squadra
che hanno portato a casa il risultato, valgono ben poco. Non sono fatti
di materiali pregiati e trovano pochissimo spazio sul mercato nero vista
la loro, evidente, unicità e rintracciabilità.
Grossomodo nello
stesso modo devono averla pensata anche coloro che, il colpo a Milton
Keynes, lo hanno fatto. Pochi giorni dopo il fatto, una consistente
parte della refurtiva è stata trovata in fondo ad un lago a poca
distanza dal luogo del delitto. Sono in molti a considerarlo come un
modo alquanto maldestro usato dai ladri per disfarsi del bottino dopo
essersi resi conto che, con un simile fardello, non sarebbero di certo
riusciti a passare inosservati.
Trascorso ormai il primo mese dal
ritrovamento, tuttavia, mancano ancora all'appello più della metà dei
trofei. Da quella notte paiono essersi spariti nel nulla: di loro più
nessuna traccia. Ed è qui che cala il mistero: che fine hanno fatto i
trofei di Milton Keynes?
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