martedì 7 luglio 2020

Una fulgida chioma al vento sparsa - Ep. 20

Parliamone seriamente: quanta attesa c’è stata dietro a questo mondiale di Formula 1 e quanta eravamo già stati in grado di smaltire prima ancora di giungere a metà della gara?
I piloti dovevano ancora allinearsi sulla griglia di partenza che già avevamo la nostra prima grande statistica della stagione: questo è stato il winter break più lungo della storia della formula 1. Anche perchè a questo punto avremmo potuto iniziare a chiamarlo spring break o quattro stagioni break per rendere meglio l’idea.
Passata la sbornia COVID, Twitch, Virtual GP e tutto quello che questo inverno pazzerello è stato in grado di offrici, possiamo seriamente affermare che il tema principale di questo ultimo periodo, anche in ambito di formula 1, è stato il movimento BLACK LIVES MATTER. Fiero ambasciatore di questa battaglia è stato Lewis Hamilton, che su questi temi è sempre stato molto attivo ma che da quando il movimento ha incominciato a risalire rumoroso per le vie di NY non ha perso un’occasione per esprimersi in merito, per richiamare l’attenzione e promuovere l’iniziativa anche scendendo personalmente in piazza e prendere parte alle manifestazioni londinesi.
Si può essere più o meno sostenitori di Lewis Hamilton, può stare simpatico o può stare antipatico, si può preferire un altro team, un altro pilota, un altro stile di guida o modo di fare, si può essere e fare ciò che si vuole, non si può però non riconoscergli il merito delle azioni compiute per il sociale in questo periodo, l’uso della propria notorietà per promuovere iniziative lodevoli, la capacità di essere un vero e proprio leader davanti a tanti piccoli wannabe.
I mondiali si giocano in pista, si possono vincere, perdere, più o meno meritatamente, molti sono quelli che riterrebbero di essere altrettanto dotati da potersi permettere di raggiungere gli stessi identici risultati, ma Lewis Hamilton ha dimostrato al mondo che essere campioni del mondo è anche molto di più. Non può voler dire soltanto portarsi a casa una bella coppa e tanti sponsor a riempirti le tasche. Si può ESSERE campioni del mondo prima di FARE il campione del mondo.
Nonostante tutto quello che è successo o non successo in questo ultimo periodo probabilmente il gesto più simbolico della stagione lo deve rivestire il cazziatone rivolto da Hamilton ai propri colleghi immediatamente dopo l’inizio delle agitazioni in USA.
Se Hamilton non ha perso un solo minuto prima di ricondividere la notizia della barbara uccisione di George Floyd altrettanto non può certamente dirsi per tanti suoi colleghi, membri del team e team rivali, tutta gente che è sembrata aver scoperto il movimento BLM con quelle 36/48 ore di ritardo, cosa che non avrebbe neanche del clamoroso se non fosse che si siano sentiti tutti in dovere non solo di ricondividere le notizie che si stavano freneticamente susseguendo in quelle ore ma che abbiano sentito il dovere di scusarsi dopo che proprio Lewis Hamilton li ha espressamente accusati di aver trascorso su internet e sui social 24/24 h negli ultimi 3 mesi senza aver evidentemente trovato il tempo di dedicare un solo minuto alla questione.
Esser leader dello schieramento è una dote che non può esser ricondotta unicamente alla capacità di vincere una gara.
Il passo che ha portato da questo punto alla necessità di promuovere una riflessione sulla mancata diversità all’interno del mondo della Formula 1 è stato brevissimo. Una volta compresa la portata di ciò che stava accadendo è stata la stessa FIA a rendersi portavoce del messaggio, organizzando iniziative pubbliche e incontri a porte chiuse per discutere sulle possibili iniziative da mettere in atto per il futuro e fare in modo che la lotta al razzismo fosse il leit motiv di questa anomala stagione di formula 1 alle porte.
Alla vigilia del gran premio si si è tanto discusso circa la volontà di Hamilton di voler portare a compimento la propria opera inginocchiandosi prima dell’inizio della gara suggellando il proprio l’impegno per la causa. Il circus non ha voluto essere da meno, mentre tappezzava l’intera scenografia di arcobaleni e frasi ad effetto ha lasciato intendere che tutti i piloti avrebbero osservato il minuto di silenzio in ginocchio, qualche team ha smentito, qualcun altro ha fatto riferimento ad una serie di ipotetici meating da remoto tra i 20 piloti per concordare la linea da tenere e far fronte comune. Chiunque in questi ultimi mesi dal lockdown in poi abbia solo che pensato di organizzare una videoconferenza, anche con molti meno che 20 partecipanti, ha sicuramente intuito anzitempo che che questa fosse una supercazzola grande come una città. Al momento debito tutti si sono presentati sulla linea del via per le formalità di rito, tutti addobbati con t-shirt stampate all’occorrenza, ma non tutti si sono inginocchiati. Giusto per capire fin dall’inizio che #weraceasone è un simpatico hashtag ma la realtà dei fatti è ben più lontana. Io mi ritengo ufficialmente scettica circa il messaggio che ha inteso trasmettere chi, tra loro, ha deciso di non inginocchiarsi ma, giusto per riportare alla leggerezza il tono del discorso, ancor più scettica mi ritrovo davanti alle dichiarazioni della Ferrari circa il fatto che i propri piloti avrebbero rispettato il proprio minuto di silenzio in piedi, quando a conti fatti Leclerc è rimasto in piedi ma Vettel sempre al fianco di Hamilton, invece si è inginocchiato. Domanda: viene prima l’uovo o la gallina? Vettel ha deciso di inginocchiarsi quando il team ha detto che non lo avrebbe fatto o il team ha detto che non lo avrebbe fatto perchè in realtà si stava già riferendo a Sainz, che infatti è stato in piedi?
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Nella puntata precedente:
Episodio 19 -  Bahrain 2014, non ci sono più le stagioni di una volta

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